PRESENTAZIONE
La tematica relativa alla responsabilità professionale in ambito sanitario ha assunto – con andamento tendenzialmente progressivo negli ultimi decenni – un notevole incremento nella numerosità dei casi, così da condizionare un vivace impegno a livello dottrinario e giurisprudenziale, nonché ovviamente anche giuridico.
Seppure i dati pubblicati dall’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA) abbiano registrato una leggera riduzione della numerosità di sinistri denunciati alle imprese di assicurazione dal 2014 ad oggi – vuoi per una effettiva ed oggettiva riduzione degli stessi, vuoi per una incertezza sulla rappresentatività del campione statistico dato il progressivo abbandono del mercato oggetto di studio da parte delle compagnie assicurative (in ANIA, L’Assicurazione Italiana – 2015-2016, all’indirizzo web:
http://www.ania.it/export/sites/default/it/pubblicazioni/rapporti-annuali/Assicurazione-Italiana/2015-2016/LAssicurazione-Italiana-2015-2016.pdf), vuoi ancora per la necessità di adoperare una elaborazione dai dati forniti dalle imprese a IVASS a partire dal 2017 (ANIA, L’Assicurazione Italiana – 2016-2017, all’indirizzo web:
http://www.ania.it/export/sites/default/it/pubblicazioni/rapporti-annuali/Assicurazione-Italiana/2016-2017/assicurazione_italiana_2016_2017.pdf) – la tematica è da tempo oggetto di interesse da parte dei professionisti sanitari e, soprattutto, degli altri professionisti del settore: medici legali, avvocati, liquidatori, magistrati ed assicuratori.
L’aumento registrato nel fenomeno del contenzioso in sanità può avere molteplici possibili spiegazioni. Da un lato, un mutamento nella percezione da parte del paziente nei confronti delle possibilità sia diagnostiche che terapeutiche della scienza medica: ciò – indirettamente – si traduce in un aumento nella aspettativa, talvolta irrealizzabile, che tende alla pretesa del diritto alla guarigione, qualunque sia la situazione patologica di partenza. Dall’altro, l’attuale tendenza di “condensazione” – ove possibile – dell’attività medico-chirurgica attraverso la diffusione di attività in regime di day-hospital, day-surgery, chirurgia ambulatoriale o mini-invasiva, pur tendendo ad un ridimensionamento della spesa pubblica e ad una riduzione dei rischi inevitabilmente connessi ad una prolungata ospedalizzazione, riduce, di fatto, la possibilità di creazione di un “ottimale” rapporto tra medico e paziente.
Anche il – talora eccessivo – allarmismo mediatico che emerge in relazione a casi di “malpractice”, se non addirittura “malasanità”, contribuisce ad alimentare un generalizzato clima di “sfiducia” da parte del paziente/utente della prestazione sanitaria/persona assistita nei confronti delle strutture sanitarie e, come ultimo anello della catena, dei professionisti sanitari stessi. D’altronde, probabile complice l’aumento del carico di lavoro in un contesto di risorse non sempre ottimali, il tempo che il medico (e, più in generale, il professionista sanitario) dedica alla comunicazione con l’assistito per creare un rapporto di diagnosi e cura condiviso, informato e partecipe non risulta sempre sufficientemente adeguato a soddisfare le esigenze del paziente, il quale spesso tenderà a giudicare l’operato del professionista in base a caratteristiche di empatia o di approccio “umano” oppure a cercare rimedi diagnostici/terapeutici altrove (in termini di second opinion o, più di frequente per certe categorie di pazienti, via web).
A ciò si aggiunga che la questione relativa alla comunicazione tra medico e paziente comprende anche la difficoltà, segnalata questa volta da parte degli stessi sanitari, incontrata nella comunicazione al paziente del verificarsi di un eventuale errore. Già il Code of Medical Ethics dell’American Medical Association ha enfatizzato che: “concern regarding legal liability which might result following truthful disclosure should not affect the physician’s honesty with a patient”. Sul tema, chiaramente si è espressa anche la Carta della Professionalità Medica (Fondazione ABIM – Fondazione ACP-ASIM – Federazione Europea di Medicina Interna. Carta della professionalità Medica. 2002), delineando le responsabilità a carico dell’esercente la professione medica: “i medici dovrebbero riconoscere che, nel processo di cura, a volte si possono commettere errori che nuocciono ai pazienti. In questi casi è necessario informare immediatamente gli interessati, altrimenti verrebbe compromessa la fiducia dei pazienti e della società. Rendere noti gli errori medici ed analizzarne le cause è utile per sviluppare appropriate strategie di prevenzione, migliorare le procedure e, allo stesso tempo, risarcire adeguatamente le parti lese”.
A riguardo, si rileva che è attualmente in discussione presso il Parlamento il disegno di legge relativo ai temi del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento, che espressamente prevede, all’articolo 1 che “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”.
Dal canto suo il paziente è – ed era – pienamente consapevole di potersi rivolgere alle strutture sanitarie o ai professionisti sanitari stessi per richiedere un risarcimento in caso di presunti danni alla propria salute (similmente, i congiunti in caso di decesso del paziente).
È in questo contesto che il fenomeno della medicina difensiva – di cui si tratterà più ampiamente altrove – si è diffuso in maniera esponenziale tra gli esercenti le professioni sanitarie (soprattutto medici). Dopo approdi legislativi risultati poco risolutivi e interpretativamente poco o mal definiti (è il caso della cosiddetta legge Balduzzi), anni di lavori parlamentari, con due passaggi alla Camera dei Deputati ed uno al Senato della Repubblica e numerose consultazioni, audizioni ed emendamenti hanno portato alla pubblicazione della Legge 24 del 2017, la Legge Gelli - Bianco, che introduce rilevanti novità in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in tema di aspetti civilistici, penalistici, medico-legali ed assicurativi della responsabilità sanitaria.
Il soggetto “interessato” è il professionista sanitario latu sensu, con ciò intendendosi non solo il medico chirurgo – indipendentemente dalla branca specialistica in cui egli opera – ma anche il professionista appartenente a categorie infermieristiche ovvero tecnico-sanitarie, regolate da specifici profili professionali emanati con decreto ministeriale (a titolo esemplificativo: l’infermiere, DM 739/1994; il fisioterapista, DM 741/1994; il tecnico sanitario di radiologia medica, DM 746/1994; il tecnico audioprotesista, DM 668/1994 e via dicendo), sebbene il più frequente coinvolgimento casistico riguardi i professionisti medici. Similmente, l’addebito di “malpractice” può coinvolgere qualsiasi sanitario, indipendentemente dalla propria qualifica professionale ed esperienziale, dal regime in cui opera (libero professionista versus dipendente) e dalle caratteristiche della struttura (privata, privata accreditata versus pubblica).
Bersaglio di una eventuale azione legale può essere inoltre non solo lo specifico professionista sanitario ma anche la struttura sanitaria, sia essa pubblica, privata oppure privata accreditata, chiamata a rispondere per presunti disservizi della struttura stessa ai sensi dell’art. 1218 del Codice Civile (relativi, ad esempio, alla messa a disposizione di personale, apparecchiature ed attrezzature tecniche, medicinali, presidi ovvero all’offerta di servizi “alberghieri”) e per le conseguenze del comportamento dei sanitari ivi operanti ai sensi dell’art. 1228 del Codice Civile.
La responsabilità professionale dell’esercente la professione sanitaria si declina in diversi settori del diritto: l’ambito penalistico, l’ambito civilistico e l’ambito amministrativo. Al di là dell’ambito prettamente giuridico, il professionista sanitario è tenuto inoltre al rispetto di norme contenute nel Codice Deontologico della specifica categoria di appartenenza – potendosi in mancanza configurare profili di responsabilità deontologica – ed al rispetto di obblighi contrattualmente assunti – configurandosi potenziali profili di responsabilità disciplinare.
FAD riservata agli iscritti alle associazioni convenzionate
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